SI APRE UNO DEI PEGGIORI ANNI SCOLASTICI DELLA STORIA
CONTROINFORMAZIONE E MOBILITAZIONE PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI
L’anno scolastico si apre in modo tempestoso, con provvedimenti di enorme gravità che si aggiungono ai disastri di sempre.
Ancora classi pollaio, ancora ricorso massiccio al precariato reclutato secondo il deleterio sistema dell’algoritmo generatore di errori e ricorsi a non finire, ancora edilizia fatiscente e scuole non a norma, ambienti reali che cascano a pezzi, mentre coi soldi PNRR si crea la buffonata degli ambienti digitali.
A tutto questo si aggiungono i micidiali provvedimenti recentemente emanati dal Governo: la riforma del voto di condotta, che introduce un clima di terrore e repressione nelle scuole; la risoluzione che vieta attività educative di contrasto alle discriminazioni di genere, aprendo di fatto ad una pedagogia omofoba; le nuove linee guida dell’educazione civica, volte a formare gli studenti non a valori civici ma a “valori” imprenditoriali, antisolidaristici e nazionalisti; la riduzione di un anno di scuola superiore con la quadriennalizzazione di tutti i percorsi, attualmente ancora in discussione ma già anticipata da orientamenti didattici che esaltano le UDA, nuova riedizione dei famigerati saperi minimi di una volta; la proliferazione di figure intermedie che minano a spaccare la categoria e a trasformare sempre più la scuola in qualcosa a metà strada tra l’azienda e la caserma.
Si tratta di provvedimenti che ridisegnano l’impianto complessivo della scuola, che distruggono un’ impostazione pedagogica che, pur con tutti i suoi limiti, ha caratterizzato la scuola della repubblica, provvedimenti che porteranno, come nel caso delle quadriennalizzazioni del superiore, disoccupazione e ulteriore precarietà. Il Governo fa scempio dell’istruzione, così come di altri settori lavorativi e sociali, sanità in primis. Per imporre queste deleterie politiche utilizza lo strumento repressivo: è da intendere in questo senso il DDL 1660 sulla sicurezza, che sfodera il manganello contro chi manifesta nelle piazze, contro chi occupa luoghi di lavoro e di studio, contro chi esprime il proprio dissenso. La gravità della situazione impone una consapevolezza generalizzata e una capacità di risposta. Attiviamoci nelle scuole e ovunque, promuoviamo controinformazione, contrastiamo le imposizioni a partire dai luoghi di lavoro, colleghiamoci ai settori che si mobilitano e partecipiamo laddove possibile anche alle iniziative contro il decreto sicurezza.
DOPO IL FLOP DELLA FILIERA IL GOVERNO SCOPRE LE CARTE:
4 ANNI INVECE DI 5 IN TUTTE LE SCUOLE SUPERIORI PER LEGGE
Il 26 febbraio, dopo il flop della filiera tecnologico professionale varata con DM 240/2023 a cui hanno aderito solo 171 istituti tecnici e professionali su 3388, il governo ha svelato il vero piano che si celava dietro questa manovra depositando alla Camera dei deputati la proposta di legge n. 1739 che prevede la durata quadriennale dei corsi di studio per tutti gli indirizzi dell’istruzione secondaria di secondo grado compresi i licei. La sperimentazione come avevamo capito sin dall’inizio era solo un cavallo di Troia.
Questo DDL si compone di due soli articoli essendo una legge delega che abilita il governo ad emanare entro 6 mesi uno o più decreti legislativi che non passeranno dal parlamento e dopo l’approvazione del consiglio dei ministri verranno pubblicati direttamente in gazzetta.
L’obiettivo è quello di garantire la “piena realizzazione del diritto-dovere di istruzione e formazione, anticipare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e favorire una formazione adeguata alle esigenze del tessuto socioeconomico” in quanto ormai è chiaro che la scuola pubblica per questo governo è solo una sorta di avviamento al lavoro, per cui è inutile spendere tanto tempo e denari.
La “nuova” scuola secondaria di II grado, comunque rimane articolata in licei, istituti tecnici e istituti professionali ma durerà solo 4 anni e non 5, “eventualmente provvedendo all’adeguamento e alla rimodulazione del calendario scolastico annuale e dell’orario settimanale delle lezioni”, ricorrendo agli strumenti offerti dal Regolamento dell’autonomia (artt. 4 e 5 del DPR 275/99) varato da Berlinguer al tempo del governo D’Alema.
Il DDL è pieno di affermazioni strampalate, ridicole e contraddittorie come:
– “il piano di studi deve assicurare agli studenti e alle studentesse il raggiungimento degli obiettivi specifici di apprendimento e delle competenze trasversali e l’orientamento, previsti per il quinto anno di corso, entro il termine del quarto anno ” naturalmente comprendendo anche pcto e apprendistato a 15 anni, hanno scoperto la nuova relatività: legge della restrizione del tempo;
– “il piano di studi garantisce l’insegnamento di tutte le discipline già previste dall’indirizzo di studi di riferimento, ivi compreso l’insegnamento trasversale dell’educazione civica”;
– “invarianza delle dotazioni organiche e, comunque, dell’assenza di esuberi di personale” (enorme bugia visto che sicuramente per i docenti di sostegno ci sarà ovviamente una riduzione del 20% di posti);
Bisogna inoltre capire che se ogni scuola con l’utilizzo dell’autonomia dovrà provvedere al proprio adattamento curriculare ci sarà una vera e propria deregolamentazione dei percorsi nazionali di istruzione e un ulteriore attacco al valore legale del titolo di studio, infatti i percorsi diventeranno nel migliore dei casi regionali nell’ottica dell’autonomia differenziata.
E’ dal tempo di Berlinguer che vari governi ci provano a ridurre 1 anno di scuola, dopo di lui ci hanno provato nell’anno scolastico 2018/2019 dove sono stati avviati dei percorsi quadriennali sperimentali. Delle 192 scuole coinvolte, composte all’inizio da 127 scuole statali e da 65 paritarie i rinnovi si sono ridotti a 98 . Ci ha poi provato il ministro Bianchi ad ampliare fino a 1000 scuole la sperimentazione quadriennale (dm 344/21) ma ha fallito, ci ha provato Valditara con la sperimentazione della filiera ma ha fallito anche lui e ora ci prova con una imposizione di legge tipica dei regimi autoritari.
Il fatto è che il diploma quadriennale è un’operazione che non è condivisa dalle scuole e dalle famiglie, oltre che dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI) che ha ripetutamente bocciato i percorsi quadriennali (nel 2018, nel 2021 e nel 2023 ).
Continuiamo quindi ad opporci in tutti i modi possibili a questa forzatura autoritaria che ha l’unico scopo di creare una scuola di serie B per ridurre ulteriormente la spesa per l’istruzione e formare generazioni di giovani privi di cultura e di spirito critico, “liberi” solo di accedere ad un lavoro qualsiasi, magari quello che fa comodo alla confindustria locale.
LA FILERA DIVENTA LEGGE MA RIMANE PER ORA SPERIMENTALE
Il 6 settembre scorso è entrata in vigore la Legge 121 dell’8 agosto 2024 con cui si è dato conferma della “Istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale” che rimane comunque per ora sperimentale e quindi abbisogna della approvazione del collegio docenti e del consiglio d’istituto.
Ribadiamo le nostre critiche che avevamo già espresso nel n° 1 di unicobas notizie:
- la filiera è l’anticamera, il cavallo di Troia per arrivare alla regionalizzazione e alla privatizzazione di tutto il sistema pubblico di istruzione superiore riducendo in primis in corso di studi a 4 anni invece di 5 e inserendo poi i privati anche nella programmazione, più ore di PCTO e l’apprendistato anticipati a quindici anni;
- una modifica dei curricoli legata alle esigenze attuali del singolo territorio non fornisce competenze per il mondo del lavoro di domani in un momento in cui l’economia e la globalizzazione della stessa impongono profondi cambiamenti. Quella del governo di ridurre gli istituti tecnici e professionali a puro avviamento al lavoro è una visione obsoleta e retrograda che ci riporta agli anni cinquanta del secolo scorso;
- l’impoverimento culturale dovuto alla filiera sarà tale che renderà improbabile l’accesso all’università degli studenti che escono da essa, mentre adesso la percentuale degli studenti che provengono dagli istituti tecnici è del 30%. Il tutto in un contesto in cui i dati Ocse ci dicono che abbiamo un livello di conoscenze e competenze mediamente più basso degli altri paesi, nonché uno scarso numero di laureati;
Per questo motivo invitiamo tutti i lavoratori della scuola ad opporsi a questo progetto che apre la strada alla riduzione a quattro anni di tutti gli ordinamenti della secondaria di secondo grado per legge. Per questo abbiamo preparato una mozione da presentare al collegio dei docenti che potete scaricare dal nostro sito www.unicobaslivorno.it
IL LICEO MADE IN ITALY VA AVANTI MA ANCORA NON SI SA COME
Il progetto del liceo del Made in Italy, quello che dovrebbe sostituire il liceo economico sociale, è stato presentato per ora solo per il biennio senza neanche paventare che cosa sarebbe poi accaduto nel triennio. È stato un salto nel buio che ha avuto scarsa adesione: 375 alunni per il Made in Italy su 114 scuole, tre alunni per scuola. Adesso il MIM cerca di rimediare e ha predisposto un regolamento con cui si provvede alla definizione del quadro orario degli insegnamenti e degli specifici risultati di apprendimento del Liceo del made in Italy (LMI)
Lo schema di decreto è stato poi trasmesso al Consiglio di Stato e successivamente, alla Conferenza Unificata che ha dato parere favorevole.
Come Unicobas ribadiamo la nostra contrarietà a questo liceo perché facente parte del disegno di privatizzazione, regionalizzazione e svendita della scuola pubblica insieme alla fliera tecnologico-professionale e alla quadriennalizzazione di tutta la scuola superiore.
LE NUOVE LINEE GUIDA PER L’EDUCAZIONE CIVICA
UN TESTO INTRISO DI RETORICA NAZIONALISTA E INDIVIDUALISTA
Con decreto ministeriale n. 183 del 7/09/2024 il Ministero dell’istruzione e del merito ha emanato le nuove Linee guida per l’insegnamento dell’educazione civica, precedute dalle polemiche montate già durante l’estate e dai rilievi negativi mossi dal CSPI e sostanzialmente trascurati.
Nel quadriennio trascorso dall’approvazione della legge 92/2019, istitutiva dell’educazione civica, le diverse scuole di ogni ordine e grado si sono trovate alle prese con la stesura di programmazioni e curricoli di una nuova disciplina, “trasversale”, il cui fine è far emergere i contenuti civici già presenti nei saperi curricolari ma che prevede, tuttavia, un voto a sé; che viene insegnata da tutt* l* docenti, ma senza oneri ulteriori per la finanza pubblica, e che dunque carica di un lavoro di progettazione e valutazione aggiuntivo a cui il Ministero non ha ritenuto di far corrispondere alcuna retribuzione specifica.
Nel quadro della medesima legge, il Mim emana adesso nuove Linee guida, più corpose delle precedenti (23 pagine a fronte di 7) ma non per questo più chiare, che hanno sollevato appunti anche circa la costituzionalità di almeno alcuni dei contenuti esposti.
Scorrendo il documento, saltano agli occhi diverse contraddizioni e confusioni. Intanto il Mim esordisce con una spericolata interpretazione del testo costituzionale in senso personalistico, che rilegge il principio di solidarietà come rispetto dei doveri e delle leggi, trasforma l’uguaglianza sostanziale in valorizzazione del talento individuale, insiste sulla proprietà privata; infine, declina il (giustamente) criticato concetto di “patria” in parte in senso etnico/identitario (va bene integrare gli stranieri, purché riconoscano i caratteri “tipici” della nostra “comunità nazionale”), in parte come promozione delle eccellenze del “made in Italy”. Un calderone del tutto privo di senso storico – o di riferimento alle radici antifasciste di quello che oggi è il “Paese chiamato Italia” – che dichiara di voler prescindere dalle ideologie, ma ne è in realtà intriso.
Una su tutte: la “responsabilità individuale” prevale su qualsiasi responsabilità sociale; pertanto occorre insistere sul rispetto della “legalità”, ponendo le violazioni da parte dei singoli (possesso di droghe, violazioni della proprietà) sul medesimo piano di fenomeni come le mafie; e soprattutto mettere l’accento sul ruolo del singolo nel contrastare la criminalità organizzata, tutelare la propria salute, difendere l’ambiente dai disastri naturali, assicurarsi (privatamente) un sistema di previdenza e saper difendere i propri risparmi da eventuali disastri finanziari. Se questi sono gli obiettivi, il compito è improbo, oltreché assai difficilmente conciliabile con i valori che il dettato costituzionale continua, nonostante Valditara, ad affermare.
Passando alla parte su obiettivi di apprendimento e traguardi di competenza, la confusione si infittisce. Il ministero individua tre aree, ampie e intrecciate:
Costituzione – sotto cui rientrano tanto i diritti fondamentali quanto l’educazione stradale, sotto il cappello del “rispetto delle regole”;
Sviluppo economico e sostenibilità ambientale (difesa dell’imprenditorialità al grido di “utili privati, danni condivisi”);
Cittadinanza digitale, che comprende tanto l’uso critico dell’informazione quanto il divieto degli smartphone a scuola.
Nell’elenco delle competenze fondamentali, descritte in dodici punti, figurano concetti molto eterogenei quali “rispettare le regole che governano la democrazia”, “comprendere le cause dei cambiamenti climatici”, “maturare scelte di tutela del risparmio e di pianificazione di percorsi previdenziali”, che fanno riferimento a piani di complessità ben diversi ma anche a tipi di capacità, qualità e azioni molto distanti: dal capire fenomeni globali, al saper agire nel contesto civile e politico, al disporre dei propri beni privati (sempre che se ne abbiano) in modo economicamente vantaggioso.
Come se non bastasse, si confondono finalità di carattere culturale con norme di condotta “decorosa”: troviamo, tra gli obiettivi di apprendimento, il “supportare le persone in difficoltà”, o l’“assumere l’impegno, la diligenza e la dedizione nello studio come momento etico di significato sociale”; fino all’invito ad “individuare responsabilmente i propri bisogni e aspirazioni, in base alle proprie disponibilità economiche”, un po’ economia domestica e un po’ patente violazione dei principi costituzionali.
Le elaborazioni sviluppate dalle scuole in questi anni non sono state tenute in alcun conto; men che meno, le richieste da parte delle componenti studentesche (che anzi continuano a subire la repressione, anche violenta, che chiedano educazione sessuale o lottino per una vera difesa dell’ambiente). Ed è infine chiaro come, ancora una volta, determinati argomenti (educazione stradale, finanziaria, alla legalità) debbano servire come volano per spalancare ancor più le porte delle scuole a forze armate, associazioni imprenditoriali e soggetti esterni a cui subappaltare l’educazione civica; di proposte in merito le segreterie sono già subissate.
In definitiva le Linee guida, in gran parte inapplicabili nell’insegnamento scolastico, appaiono più come un’affermazione identitaria del ministero che come un documento dotato di validità didattica; ma sono, appunto per questo, un testo da respingere nel metodo e nel merito, che vorrebbe pervertire l’educazione alla cittadinanza critica e consapevole – che si attua ogni giorno, in ogni ora, non solo in quelle di “civica” – in “buona condotta fascista” per il nuovo millennio.
INIZIO ANNO SCOLASTICO: 250MILA SUPPLENZE DATE A CASO DALL’ALGORITMO
Questo inizio di anno scolastico rimarrà nella storia come quello dove sono stati battuti 2 record, quello del numero di supplenze assegnate e quello delle assegnazioni sbagliate di queste supplenze da parte di un algoritmo ormai impazzito e incapace di gestire in modo decente queste assegnazioni.
250mila supplenze al 31 agosto o al 30 giugno (la maggior parte al 30 giugno, sfruttando la ridicola divisione tra organico di fatto e organico di diritto) costituiscono un terzo dell’organico dei docenti, a queste poi vanno aggiunte le 50mila supplenze del personale ATA per avere un quadro completo della situazione. La triste realtà è che un lavoratore precario costa allo Stato molto meno di uno a tempo indeterminato e quindi all’amministrazione conviene mantenere lo status quo fatto di incertezza e contratti a tempo piuttosto che favorire la completa stabilizzazione. Di questi lavoratori viene sfruttata la professionalità, evitando al contempo di riconoscere loro alcuni fondamentali diritti, come il diritto alla maturazione dell’anzianità di servizio, a percepire uno stipendio anche al termine delle attività didattiche, al pagamento completo dell’indennità di malattia; al TFR calcolato su 10 anziché su 12 mesi. L’algoritmo potrebbe funzionare solo se in partenza fosse chiara la disponibilità di TUTTI i posti da assegnare e se comunque al comparire di nuovi posti le assegnazioni venissero rifatte da capo. Tutto questo viene negato dal ministero, si raccattano i posti a pezzi e bocconi, facendo decine di tornate e comunque non si torna mai indietro per cui si scavalcano docenti con punteggio alto per dare posti a chi ha pochi punti, mettendo i lavoratori uno contro l’altro.
Fortunatamente i tribunali, soprattutto in questi ultimi 2 anni, hanno iniziato a condannare il ministero dichiarando illegittimo l’algoritmo, in tutta Italia ci sono già decine di sentenze dei tribunali del lavoro a cui ultimamente di sono aggiunte la sentenza n. 320/2024 della Corte d’Appello di Milano e la sentenza n. 376/2024 della Corte d’Appello di Bologna.
Secondo il Ministero, viene considerato rinunciatario non solo chi non ha presentato domanda o ha rinunciato effettivamente alla sede che gli era stata assegnata, ma anche quel docente che semplicemente non ha ottenuto le sedi richieste nella tornata che lo ha “toccato”: rinunciatario a sua insaputa. Ma la magistratura non è d’accordo, secondo la Corte d’appello di Bologna: “Nel momento in cui successivamente a detta assegnazione si rendano disponibili altri nuovi posti nella stessa classe di concorso, il Ministero deve effettuare una nuova convocazione e, ripercorrendo dall’inizio la graduatoria, deve procedere ad una nuova convocazione ed offrire ed assegnare il posto al docente con maggior punteggio in quella classe di concorso che il docente ha espressamente indicato”. L’Unicobas sta presentando ricorsi al giudice del lavoro per ottenere il risarcimento del danno per chi è stato “saltato”dall’algoritmo perché ritenuto rinunciatario a sua insaputa.
Chi è interessato ci contatti telefonando al n° 0586 210116
CONTRATTO SCUOLA SCADUTO DA QUASI 3 ANNI, IL GOVERNO “MELEGGIA”
Il Contratto istruzione e ricerca è scaduto da quasi 3 anni e le ultime leggi di bilancio hanno stanziato risorse di gran lunga al di sotto rispetto all’inflazione maturata nel triennio di riferimento, infatti a fronte di un’inflazione reale di circa il 18%, i finanziamenti previsti comportano aumenti pari al solo 5,78%, con un differenziale di oltre il 10% abbattendo quindi notevolmente il potere d’acquisto dei lavoratori della scuola. Bisogna quindi mobilitarsi affinché vengano stanziate risorse aggiuntive per rispondere all’inflazione del triennio e fare un passo verso l’equiparazione agli altri stipendi europei.
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